Il Piano per il made in Italy è pronto: grande attesa

Più Italia nel mondo e più mondo in Italia. È questo il succo del Piano straordinario sul made in Italy che entro l’estate dovrebbe diventare un decreto. Il Piano è pronto, come ha annunciato il ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi, e sarà «il più grande mai fatto sul made in Italy» con un budget che dovrebbe superare i 100 milioni. Gli obiettivi sono scritti nero su bianco nel progetto del ministero. E cioè: aggiungere 22mila imprese esportatrici e 50 miliardi di export in più entro il 2016 e attrarre in Italia 20 miliardi di investimenti per metterci almeno alla pari con Paesi come Francia e Spagna. Definiti anche gli strumenti – alcuni già testati – che sono sintetizzati in dieci azioni: 5 in Italia e 5 all’estero. Sul fronte interno si va dal

Il ministro Guidi

potenziamento delle 15 fiere in cui l’Italia è già leader (definito il «modello Pitti», sulla base di quanto si fa ogni anno a Firenze con l’omonimo evento moda) alla messa a disposizione per le Pmi di export manager che temporaneamente offrono i loro servizi, dalla formazione all’export (con il roadshow rivolto a 70mila aziende in corso) all’offerta sempre per le Pmi di pacchetti di digitalizzazione per l’ecommerce. All’estero il piano punterà su accordi ad hoc con la grande distribuzione – sull’esempio di quanto fatto in Germania con il colosso Karstadt – e «piani speciali» per aggredire alcuni mercati più interessanti, ma anche sulla guerra all’«italian sounding» che ci ruba miliardi di potenziale mercato e contro il quale si vuole studiare un marchio «Italian original». In più ci sarà un roadshow «Invest in Italy» in accordo con le ambasciate che toccherrà le prime 20 piazze finanziarie mondiali per attrarre nuovi investitori con incontri «one to one». Non poteva mancare un piano «road to Expo» per concretizzare la ricaduta commerciale dell’evento di Milano, a cominciare dall’agroindustria. L’Expo 2015 del resto è un po’ il fil rouge di tutto il piano made in Italy del Governo, una vetrina troppo ghiotta per non sfruttarla in pieno in modo da far salire tutto il Paese sul carro dell’internazionalizzazione sia in entrata (investimenti e turismo) che in uscita (export). E poi non c’è solo l’Expo, perché – come spiegano le 16 pagine del piano – quello che non bisogna farsi sfuggire è l’occasione di agganciare «definitivamente l’Italia al boom della classe media mondiale»: nei prossimi 15 anni ci saranno 1,8 miliardi (800 milioni in più rispetto a oggi) di consumatori desiderosi di spendere e godersi il nuovo agognato stile di vita. Un «dividendo della globalizzazione», questo, che l’Italia può intercettare grazie alla potenza del suo made in Italy andando ad aggredire innanzitutto quell’export potenziale aggiuntivo ai 470 miliardi attuali (tra merci e servizi) che vale almeno 50,5 miliardi. Una cifra raggiungibile scommettendo su alcuni mercati strategici individuati dal Piano: da quelli cosiddetti maturi (dagli Usa al Giappone fino ai Paesi Ue), per 25 miliardi aggiuntivi (+14%) alle economie emergenti (Cina, Messico, Turchia, Brasile, Emirati, ecc.) per 23 miliardi in più (+52%) a cui si aggiungono altri possibili 2,5 miliardi (+49%) da quelle che vengono definite «nuove opportunità» (selezionati Paesi africani e il Qatar).Discorso simile vale per l’attrazione degli investimenti: l’Italia negli ultimi 10 anni ha attratto in media 21 miliardi contro i 36 della Spagna e i 51 della Francia. Troppo poco rispetto alle nostre potenzialità stimate in 20 miliardi in più all’anno. Il nostro Paese lentamente sta tornando nel radar degli investitori (come dimostra l’ultimo Confidence Index che ci mette al 20° posto), tra l’altro nel momento giusto visto che nei prossimi anni il flusso di investimenti nel mondo crescerà dagli attuali 1.450 miliardi ai 1.850 del 2016. Ma per farli fermare da noi, almeno una parte, dobbiamo diventare più attraenti, invogliando gli investitori ad aprire aziende in Italia (e non solo a comprarle). (fonte: Il Sole24Ore)

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