Aspiranti jihadisti “reclutati” in Europa

La creazione del Califfato islamico è diventata un polo di attrazione per i cittadini europei desiderosi di arruolarsi nelle fila dell’Isis. Una sorta di sogno divenuto realtà. Ed ora il rischio che tornino per compiere rappresaglie, impregnati di una propaganda di odio e intolleranza, non è mai stato così alto. Soprattutto da quando sono scattati i raid aerei della coalizione internazionale e l’Isis ha reagito esortando a sterminare i “miscredenti”. I dati rilasciati del coordinatore europeo contro il terrorismo, Guilles De Kerchove, sono inquietanti. «Più di 3mila» è la sua risposta alla Bbc su quanti europei si sono uniti ai jihadisti dell’Isis in Siria e Iraq. Il numero comprende anche chi è deceduto, oppure rientrato. «Se prima era più difficile capire a quali gruppi jihadisti si fossero uniti – Jabath al-Nusra o altri – ormai quasi tutti, finiscono per arruolarsi nell’Isis, un movimento, peraltro, che si è contraddistinto per una campagna mediatica molto efficiente e un uso accorto dei social media di gran lunga migliore dei concorrenti», spiega Lorenzo Vidino, esperto di terrorismo islamico presso l’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi). Avere dati precisi e dettagliati è difficile. Ma con l’aiuto di Vidino e di altri esperti si può tracciare un quadro: mille sono partiti dalla Francia, il Paese europeo con la più grande comunità musulmana. Sette-ottocento dal Regno Unito, 400 dalla Germania, addirittura 350-400 dal piccolo Belgio. E poi ancora quasi un centinaio dalla Danimarca, circa 50 dalla Finlandia, un numero simile anche dalla Norvegia, una trentina dalla Spagna. Dall’Italia sarebbero partiti in poco meno di 60, e peraltro quasi tutti non sarebbero cittadini italiani. Le ragione la conosce bene Vidino, autore di un e-book – Il jihadismo autoctono in Italia – pubblicato dall’Ispi. «La spiegazione è semplice – continua -. In Italia il flusso di radicalizzati non coinvolge immigrati musulmani di prima generazione, soprattutto perché sono arrivati qui con 10-20 anni di ritardo rispetto ai Paesi dell’Europa centro-settentrionale. Per cui il fenomeno dei giovani di seconda-terza generazione è ancora marginale. Così come quello dei cosiddetti facilitatori, i mediatori che li mettono concretamente in contatto con l’Isis». Ma anche in Italia il punto di aggregazione è internet. «Meno moschee e più rete – precisa Vidino -». L’identikit dell’aspirante jihadista di seconda generazione è molto difficile da ricostruire: spesso ha un’istruzione superiore, sa usare molto bene internet e sovente la famiglia non è indigente. Vale anche per i pochi casi italiani. Molti sono studenti, ma ci sono anche persone comuni, anche criminali . C’è tuttavia un punto che si ripete: nella maggior parte dei casi la radicalizzazione avviene in piccoli gruppi. E la Rete svolge un ruolo prioritario. (fonte: Il Sole24Ore)

 

 

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