Da Madrid, la sua musica è senza confini

Vive a Madrid, ha un cuore napoletano e un’arte senza confini perché la sua musica occupa una dimensione internazionale. Giuseppe Devastato, 37anni, è un nome a livello mondiale e sentirlo suonare al pianoforte rappresenta un’esperienza unica. L’hanno capito in molti, prima di noi italiani e i riconoscimenti sono arrivati fuori Patria dopo anni di dura gavetta. Lo scorso anno questo musicista e compositore è risultato vincitore del Global Music Awards 2014 di Los Angeles, ha ricevuto la Silver Medal per la sua composizione “Hommagè a Mozart” e la Bronze Medal per il suo ultimo lavoro discografico “The Neapolitan Masters”; nella grande sala del Carnegie Hall di New York è stato consacrato star internazionale dopo il successo dell’esecuzione del suo “Sembazuru Fantasy”, composto in ricordo dello tsunami che colpì il Giappone nel 2011. Giuseppe oggi insegna al Centro Superiore di Musica “Katarina Gurska” di Madrid gli affascinanti segreti della Scuola Napoletana, di cui è custode vivente, spiegando le tecniche del “cantar bene al pianoforte”, addolcendo il suono secondo le regole suggerite dal celebre  pianista e compositore del 1800, Sigismund Thalberg, fondatore della Scuola pianistica napoletana. Per la caratteristica del suo tocco pianistico è stato chiamato a incidere molte colonne sonore per film come “Io, l’altro” di Raul Bova prodotto dalla Warner.

Come mai la scelta di vivere a Madrid?

«Fu casuale, in realtà sognavo di trasferirmi a New York. Poi fui chiamato per diversi eventi musicali qui in Spagna e nel 2011 ottenni anche un contratto di docente di pianoforte presso il Centro Superiore di Musica “Gurska”. Erano segnali di qualche cosa che stava cambiando e infatti da tre anni la mia vita professionale è finalmente decollata».

In Italia non aveva spazi per emergere?

«Troppo pochi e non certo legati ai meriti artistici. Se non appartieni a una cerchia ristretta di “nomi eccellenti”, tutto risulta infinitamente più difficile, se non impossibile. Dalla Spagna, invece, sono stato proiettato in una dimensione internazionale che è sempre più consolidata».

Quando ha iniziato a suonare il pianoforte?

«Molto presto, all’età di 4 anni, anche se a 13 studiavo strumenti a fiato per potermi mantenere al Conservatorio di Avellino. Appartengo a una famiglia molto umile della provincia di Napoli, precisamente Marigliano; i miei genitori rispettavano la mia passione per la musica ma in casa non c’erano soldi per farmi studiare. In quegli anni c’era ancora la consuetudine di accompagnare i funerali con la banda ed io mi guadagnavo il diritto di studiare il pianoforte suonando la tromba per i defunti: mi davano anche 30 mila lire la settimana».

Ricordi di quegli anni?

«Non ricordo la mia gioventù. Fino ai 23 anni, quando sono riuscito a diplomarmi in pianoforte e composizione, ho studiato anche sedici ore al giorno e se non mi esercitavo al piano era perché dovevo lavorare, con la banda del paese e come commesso in un negozio di scarpe. Tutte le notti mi addormentavo sognando di debuttare alla Carnegie Hall di New York, l’Olimpo dei musicisti. Piangevo, fantasticando su quei momenti, li desideravo con tutte le mie forze».

Il sogno è diventato realtà, come nelle più belle favole.

Giuseppe Devastato con la violinista Sumiko Tajihi e lo “Tsunami Violin”

«Sì, quando lo scorso anno la famosa violinista giapponese Sumiko Tajihi, che aveva avuto modo di ascoltare alcune mie composizioni, mi propose di comporre un brano per commemorare le vittime dello tsunami da presentare alla Carnegie Hall, pensai di impazzire dalla gioia. In soli quindici giorni scrissi la “Sembazuru Fantasy” per violino, pianoforte e orchestra. Il brano fu scritto per un violino speciale chiamato “Tsunami Violin” costruito con i rottami di legno raccolti dopo il disastro che colpì il Giappone».

Come andò il debutto a New York?

«Era il 30 maggio del 2014. Mi presentai nelle vesti di pianista e compositore con Sumiko, accompagnati dalla Saratoga Spring Youth Orchestra diretta dall’amico Gioacchino Longobardi, presidente dalla Neapolitan Music Society di New York. Quando le ultime note si dispersero sotto le volte di questo tempio della musica, fui accolto da una standing ovation: al ricordo ancora oggi l’emozione è fortissima».

Poi ha fatto il bis in Giappone.

«Mi sono esibito a Tokyo con lo stesso brano, un’esperienza umana e professionale davvero unica per i ringraziamenti ricevuti, per il contatto con un pubblico profondamente segnato dalla tragedia e commosso dall’omaggio musicale. In seguito ho fatto un lungo tour in Cina per presentare il disco “The Neapolitan Masters” (con musiche di Scarlatti, Pergolesi, Longo e altri grandi, ndr), per tenere masterclass presso le Università e per suonare la mia musica».

Il Premio Cartagine al compositore Devastato

Anche l’Italia alla fine si è accorta di lei.

«Mi hanno conferito il Premio Cartagine, per meriti umani e per la diffusione della musica napoletana nel mondo; un riconoscimento prestigioso, che in altri ambiti hanno ricevuto personalità come Kofi Annan, l’ex presidente Giorgio Napolitano e il maestro Ennio Morricone».

C’è ancora interesse per la Scuola Napoletana?

«Grande interesse e molta curiosità per la ricerca del suono, che personalmente coltivo da anni. Nel 2007 ho pubblicato un album intitolato “L’Art du chant appliqué au piano”, titolo tratto dal metodo del fondatore della Scuola Pianistica Napoletana, Thalberg, applicandolo a repertori di compositori come Schumann, Brahms, Scriabin. Quest’anno uscirà un altro album con musiche mai registrate prima. Tutte le novità sul mio sito Giuseppe Devastato».

Thalberg raccomandava ai giovani artisti dodici regole generali per cantar bene al pianoforte: come usare le mani, i pedali, quale posizione assumere mentre si suona, spogliandosi d’ogni durezza perché la tensione, la contrazione delle spalle e la rigidezza impediscono un profondo contatto con la tastiera, e molto altro ancora. Oltre alla tecnica, c’è qualche rituale scaramantico che lei segue prima di suonare in un concerto?

«Devo stare cinque minuti da solo e in quei momenti ripercorro i sacrifici fatti, le fatiche sostenute, ricordo a me stesso che volere è potere. Poi mi faccio tre volte il segno della croce e quando sono davanti al pubblico, prima di sedermi sfioro con la mano destra il pianoforte, gli ricordo che è il mio migliore amico: lo dico a voce alta, non sussurro. Queste parole mi danno sicurezza, da quel preciso istante esistiamo solo io e il piano anche se resto attentissimo a cogliere gli umori, le reazioni di chi mi ascolta suonare».

Passione, costanza, dura disciplina e un pizzico di testardaggine nel mix del suo successo?

Sorride. «Sì, come quando a 14 anni decisi di emulare Maradona, il mio mito calcistico, e tornai a casa con un orecchino al lobo sinistro. Le presi di santa ragione, mio padre non mi parlò per una settimana ma l’orecchino è rimasto al suo posto, non me lo sono più tolto».

Patrizia Floder Reitter

 

 

 

One thought on “Da Madrid, la sua musica è senza confini

  1. This was a wonderfully descriptive narrative of struggle, discipline and accomplishment. We salute you on your success! We applaud your work and your dedication to your personal contributions to the world of music Bravo!
    Your music is something you must do, you have to do and We are all blessed with it because of you and others like you who diligently labor to bring us all their wonderful creations, interpretations and styling.

    Thank You and your fellow artists!

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